TRAPPOLERIE BANCARIE E ANTICIPO DELLA CASSA INTEGRAZIONE

Le banche hanno a cuore la sorte degli operai finiti in cassa integrazione, anticipano i soldi per coprire i sicuri ritardi dell’INPS. Lo fanno gratis? Con gli interessi.
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Le banche hanno a cuore la sorte degli operai finiti in cassa integrazione, anticipano i soldi per coprire i sicuri ritardi dell’INPS. Lo fanno gratis? Con gli interessi.


 

Gli operai per accedere alla cassa integrazione stanno per finire sotto la tagliola delle banche.
L’accordo per la Convenzione stipulata tra l’Associazione delle banche italiane, Confindustria, sindacati, governo e INPS, prevede l’intervento in prima istanza delle banche per l’anticipazione della cassa integrazione agli operai delle aziende che ne faranno richiesta a seguito di chiusura o riduzione delle attività.
E’ stato il buon cuore delle banche a spingerle in un’iniziativa che definiscono nei loro comunicati di “forte valenza sociale”, quasi come avesse finalità filantropiche? Le banche, spinte dalla contingenza di un’emergenza sanitaria così violenta, hanno deciso di aiutare gli operai a sopravvivere? Possiamo immaginare che non sia così. E in effetti abbiamo raccolto un po’ di dati che tolgono ogni dubbio, se ce ne fossero mai stati.
Ma partiamo dall’inizio: i padroni inviano una lettera di 24 pagine al governo nella quale, oltre a stabilire quali settori e quali fabbriche debbano continuare la produzione, precisano che non un euro uscirà dalle loro tasche “in un momento di crisi di liquidità”, richiedendo un anticipo diretto da parte dello Stato per far fronte alla richiesta crescente di cassa integrazione. Hanno messo così le mani avanti, avvisando di non essere disposti questa volta ad anticipare la cassa integrazione in attesa dei tempi lunghi, in genere due o tre mesi, con cui l’INPS la eroga. A questo punto l’INPS dovrebbe garantire i pagamenti già da aprile ad una platea di lavoratori che è almeno dieci volte più grande dell’ordinario. Una missione impossibile per un Ente che non è riuscito neppure a ricevere e gestire le domande per il bonus destinato al ceto dei professionisti e ai lavoratori autonomi, con un portale internet collassato in tempi record per il sovraccarico che si è generato. L’INPS è stato costretto a giustificarsi con la risibile storiella degli «attacchi hacker». Si è fatto dunque largo l’ipotesi di utilizzare ed estendere una Convenzione già in uso con le banche dal 2009.
Grazie a questo escamotage le banche attiveranno dei conti correnti appositi, i cui intestatari sono proprio i singoli lavoratori, sui cui faranno pervenire l’anticipo della cassa integrazione, per una somma complessiva di 1400 euro per tutto il periodo determinato dal decreto legge, cioè fino a 9 settimane. Sotto il mantello di un’operazione spacciata come caritatevole, si nasconde la vera sostanza della questione, il grande affare che per le banche rappresenta l’intervento diretto a sostegno della cassa integrazione: l’apertura di nuovi conti correnti con costi fissi obbligatori che saranno a carico degli operai, l’esponenziale aumento della platea dei correntisti, quindi di nuovi clienti, altri introiti per gli interessi accumulati.
Già nel 2013 si stimava che ‘Intesa San Paolo’ maturava 35 euro di interessi su un importo prestato di 1500 euro con un tasso annuale al 4% che nel caso di assenza di garanzie (i cd. “fondi di garanzia” che dovrebbero istituire le Regioni) può arrivare fra il 14% e il 22%. Non proprio “un’anticipazione sociale” come amano chiamarla i manager di banca, piuttosto un forziere di soldi su cui gettarsi a capofitto.
Non è tutto, oltre ad un inedito e forzato rapporto con le banche, gli operai da questa Convenzione ne ricavano un’altra grana, così esplosiva che quasi si fatica a trovarne traccia nel dibattito pubblico, così esplosiva da costringere pure la segretaria nazionale della Cisl, Furlan, a mettere le mani avanti, in uno striminzito e sibillino comunicato, in cui si accenna alle “possibili situazioni debitorie” in cui si troverebbero i lavoratori. Ora possiamo dire non «possibili», ma altamente probabili situazioni debitorie che graverebbero sugli operai se l’INPS non riuscisse a corrispondere alle banche nei tempi stabiliti la somma che hanno anticipato.
Nel contratto che gli operai andranno a sottoscrivere con le banche di riferimento è previsto, ovviamente scritto in piccolo e in modo astruso, come cavillo, come nella migliore tradizione della trappoleria bancaria, che scaduti i termini entro i quali l’INPS è tenuta a far arrivare alle banche la somma anticipata, ossia entro sette mesi, saranno gli operai a rimetterci e ad estinguere il debito(!) di 1400 euro entro trenta giorni. Come? Nel modo più semplice che si possa immaginare. Con «i datori di lavoro» che verseranno sullo stesso conto corrente il primo salario utile spettante al lavoratore, che viene preso in pegno dalle banche fin da subito, e utilizzato per estinguere il debito a fronte della mancata corresponsione da parte dell’INPS.
A differenza delle precedenti convenzioni in cui si prendevano i salari a titolo di garanzia in caso di mancato accoglimento della domanda di cassa integrazione avanzata dall’azienda, questa volta la tenaglia attorno agli operai si stringe ancora di più. Gli operai i soldi ce li dovranno mettere di tasca propria qualora l’INPS non riuscisse a gestire per tempo tutte le domande di cassa integrazione e non riuscisse a reperire le risorse necessarie. Gli scenari cambiano, la crisi accelera, banchieri, burocrati di Stato e politicanti sanno che questi sono tempi difficili, l’assalto alla diligenza è appena cominciato, niente è scontato, fiutano che il baraccone dell’INPS possa andare presto alla deriva, soddisfacendo solo una parte delle richieste provenienti da più parti e da più settori, corrono ai ripari mettendo le mani sul salario degli operai.
Si scarica così sugli operai l’intero costo sociale delle misure adottate al fine di contenere la diffusione del contagio. Salari già ridotti dalla cassa integrazione, per fabbriche in crisi di domanda e con problemi legati alla produzione, e salari da cassa integrazione estorti dalle banche quando gli apparati statali affondano come colabrodi. Gli operai che già versano contributi mensili per il fondo di integrazione salariale finiscono pure spolpati dalle banche per accedere al medesimo fondo. E intanto, se «tutto andrà bene», dovranno accontentarsi per due mesi e mezzo del misero anticipo di 1400 euro, poco più di 700 euro al mese, poco meno di un reddito di cittadinanza. La miseria di un anticipo che potrebbero essere costretti a restituire, è il caso di dirlo, «con gli interessi».
Ora a trattare individualmente con il padrone, ora a trattare individualmente con le banche, ora rappresentati da un sindacato, ora da un altro, gli operai se non diventano collettività, se non si organizzano per vie politiche, finiscono a pezzetti, triturati dal vortice delle crisi generate da un sistema che per loro può solo prevedere continui e tremendi peggioramenti.
A.B.

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