EPILOGO DI UNA STORIA DI VITA DI UNA BRACCIANTE

Forse i lettori di questo telematico si ricorderanno delle vicende della bracciante, mia sorella, cui avevo “prestato la tastiera” qualche tempo fa per raccontare, sul campo, le problematiche del lavoro salariato delle campagne. Ebbene mia sorella, a fine agosto, ha perso la sua battaglia contro il cancro di cui era affetta da qualche tempo. La vita, e la morte delle persone non sono uguali. Così non contano nulla le vite, e le morti di tanti operai che muoiono sui posti di lavoro degli immigrati e dei tanti poveri cristi nel mondo, cosa può importare la vita, e la morte […]
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Forse i lettori di questo telematico si ricorderanno delle vicende della bracciante, mia sorella, cui avevo “prestato la tastiera” qualche tempo fa per raccontare, sul campo, le problematiche del lavoro salariato delle campagne.

Ebbene mia sorella, a fine agosto, ha perso la sua battaglia contro il cancro di cui era affetta da qualche tempo. La vita, e la morte delle persone non sono uguali. Così non contano nulla le vite, e le morti di tanti operai che muoiono sui posti di lavoro degli immigrati e dei tanti poveri cristi nel mondo, cosa può importare la vita, e la morte di una bracciante? Allora raccontare le vicissitudini di chi si è trovato a vivere, sulla propria pelle, la tragedia di una malattia e di tutte le sue conseguenze è doveroso per dare voce a chi non ne ha.

Qual è stata la causa del cancro, di mia sorella? Chiaramente i medici scrollano le spalle, non si sa, cadono dalle nuvole. Io so, invece, che mia sorella, in alcuni periodi dell’anno, ritornava da lavoro lasciando una scia di odore di antiparassitari, aveva i capelli e le mani imbrattati di antiparassitari di colore celeste. Fungicidi e pesticidi sospettati da quarant’anni di essere cancerogeni! Le condizioni di lavoro sotto i tendoni di uva erano, e sono, veramente inumane: i teloni di plastica che li ricoprono fanno raggiungere in estate temperature elevatissime, con tassi di umidità pazzeschi. I braccianti che lavoravano erano costretti, però, a coprirsi per non venire in contatto con i pesticidi, ma respiravano per tutto il giorno i gas che si sprigionavano in quelle autentiche camere a gas. Condizioni lavorative che hanno provocato la morte, sul campo di alcuni braccianti alcuni anni fa. Così funziona questo sistema: si programma una produzione senza preoccuparsi delle condizioni ambientali dei lavoratori, intanto dei poveri disperati disposti a lavorare si troveranno comunque. Altrimenti si crea di proposito la fame e la disperazione, vedi gli immigrati.
Il paradosso è che mia sorella si è sempre battuta affinché le condizioni lavorative fossero più umane, che si evitassero i trattamenti in prossimità delle lavorazioni, anche perché aveva una paura tremenda del cancro e della morte. Era una testa calda, si poneva a capo delle lavoratrici che si ribellavano per gli orari non rispettati, la pausa mattutina non sempre rispettata e le condizioni lavorative inumane. Era una testa calda ma anche una grande lavoratrice, aveva una prestanza fisica fuori dall’ordinario, per una donna, riusciva, senza sforzo apparente, a compiere quasi il doppio del lavoro medio di altre sue colleghe, una vera roccia. Per questo, spesso, i padroni le avevano proposto di fare la caposquadra, per dare il ritmo alle sue colleghe, per poi fare, magari, il caporale. È questo il modo per neutralizzare i lavoratori più combattivi, offrire dei piccoli privilegi, e poi fare carriera, vedi l’attuale ministro dell’agricoltura. Mia sorella, però si è sempre rifiutata: “ non posso comandare a lavoratori come me”, ha sempre risposto. Piuttosto si metteva a servizio di chi rimaneva indietro affinché non fosse rimproverato. Diceva alle sue colleghe: “ Se anche dobbiamo vendere la nostra forza lavoro, almeno facciamolo con dignità senza leccare il culo ai padroni”. La coscienza di classe acquista un altro senso se riguarda chi conosce sulla propria pelle la brutalità del lavoro salariato, il plusvalore e altri concetti che sembrano astratti, questa è la realtà, per questo aveva aderito all’ASLO nell’ultimo periodo della sua vita.
Nell’ultimo periodo in cui ha lavorato, prima della malattia, sono stati molto duri, il male che si stava sviluppando dentro di lei le toglieva le energie e finire una giornata lavorativa era uno strazio. Quello che la abbatteva ancora di più era l’atteggiamento delle colleghe di lavoro che non le restituivano le attenzioni adesso che era lei a rimanere indietro e la sua leadership era venuta meno. Non ce la faceva a mantenere i ritmi di lavoro, forse perché il male che aveva dentro di se incominciava a svilupparsi, ma aveva bisogno di soldi e per questo aveva rimandato di qualche mese l’esame radiologico che faceva annualmente al seno, tre mesi, forse decisivi, non si sa.
Negli ultimi tempi nei media si sta diffondendo il messaggio che il “male del secolo” è un costo da pagare per il progresso, bisogna rassegnarsi. Allora si sono diffusi siti di aiuto a chi si ammala, si sono fatte diverse serie televisive (vedi Braccialetti Rossi o Linea Verticale) che hanno diffuso il messaggio di affrontare la malattia con forza e determinazione, quasi con il sorriso sulle labbra. Balle! Il cancro rimane la peggiore malattia per l’uomo, solo chi è stato in contatto, come me, con una persona cara che ha lottato, e perso, contro di questo male può capirlo: uno stillicidio con una fine, spesso, nefasta! Mia sorella si è operata togliendo tutta la mammella sinistra poi la chemio, la perdita dei capelli, pensava di aver sconfitto il male, inizia a fare progetti di vita, il male ricompare in forma metastatica, altra chemio altra perdita di capelli per poi finire immobilizzata in un letto senza neanche poter mangiare da sola! Infine l’epilogo finale, un’agonia relativamente breve, l’unica fortuna che la sorte le ha concesso. È straziante venire a contatto con tanta sofferenza che non lascia prospettive, ma è anche penoso venire a contatto con il sistema sanitario della cura al cancro: medici che ostentano lusso e una montagna di soldi riversate nelle industrie del settore. Cazzo il cancro fa aumentare il PIL, per questo non conviene sconfiggerlo.
La cosa peggiore è anche la mancanza di prospettive economiche: se fosse guarita dal cancro, non avrebbe avuto nessun sussidio fino alla pensione, ma non aveva neanche la forza fisica per ritornare al suo lavoro. Adesso, quarant’anni di contributi, si perdono perché non era sposata e sua figlia, non ha diritto alla reversibilità.
Mi manca mia sorella, con lei le discussioni su una società diversa, senza lavoro salariato acquistavano un senso diverso. Che dire, non mi rimane di lottare per un mondo, dove non ci siano più i braccianti, ma ognuno possa vivere del proprio lavoro o per il benessere collettivo. Che la terra ti sia lieve.

PIETRO DEMARCO

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