Civati evade meno

Caro Operai Contro, bisognerà organizzare una festa perché l’evasione fiscale in Svizzera del parlamentare del Pd Civati, “non ha mai superato i 10 mila dollari”. I 7.499 italiani che scappano al fisco rifugiandosi nelle banche svizzere, hanno depositato complessivamente 7 miliardi 452 milioni di dollari. Alcuni arrivano alla cifra di 540 milioni di lire. Con la complicità della politica dei padroni, nascondono la loro ricchezza per non pagare le tasse, mentre a noi ci rivoltano come calzini. Non gli basta vivere da ricchi parassiti sulla ricchezza prodotta dagli operai, vogliono perpetrare indisturbati l’accumulo della ricchezza nel loro regno di […]
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Caro Operai Contro,

bisognerà organizzare una festa perché l’evasione fiscale in Svizzera del parlamentare del Pd Civati, “non ha mai superato i 10 mila dollari”. I 7.499 italiani che scappano al fisco rifugiandosi nelle banche svizzere, hanno depositato complessivamente 7 miliardi 452 milioni di dollari. Alcuni arrivano alla cifra di 540 milioni di lire. Con la complicità della politica dei padroni, nascondono la loro ricchezza per non pagare le tasse, mentre a noi ci rivoltano come calzini. Non gli basta vivere da ricchi parassiti sulla ricchezza prodotta dagli operai, vogliono perpetrare indisturbati l’accumulo della ricchezza nel loro regno di Paperone.

Caro Operai Contro ha ragione quel lettore che scriveva: è tempo che le teste riprendano a rotolare. Oliare la ghigliottina. Saluti da un lettore.

Allego l’articolo del “Sole 24 ore”

Nella lista compare anche il parlamentare del Pd, Giuseppe Civati, già candidato alla segreteria del partito e leader della minoranza anti-renziana. Il deposito – scrive l’Espresso – è di soli 6.589 dollari, di cui il titolare è suo padre Roberto, ex amministratore delegato di aziende come la Redaelli Tecna di Milano. «Il motivo per cui compare anche il mio nome dipende unicamente dal fatto che mio padre ha aperto quel conto nel 1994 (quando avevo diciannove anni) indicandomi come procuratore, insieme a mia madre (in quanto eredi, per il caso in cui fosse mancato)», ha scritto Civati nel suo blog. «Il conto non ha mai superato i 10mila euro, si è estinto nel 2011 (essendosi azzerato a causa delle spese di tenuta) e non risulta su di esso alcuna movimentazione», ha concluso Civati. Ci sono i politici e gli imprenditori, i grandi manager di Stato e i professori. Ma c’è anche un ex tangentista, un famoso esperto di sondaggi e un finanziere. Si alza il velo sui nomi italiani della Lista Falciani. Una dopo l’altra le identità nascoste riaffiorano dopo cinque anni di letargo: cinque anni durante i quali Guardia di finanza e procure di mezza Italia hanno indagato in lungo e in largo per poi ritrovarsi con un pugno di mosche in mano a causa di condoni, prescrizioni e divieti di commissioni tributarie. I nuovi nomi pubblicati sul settimanale l’Espresso oggi in edicola sono solo alcuni dell’enorme data base prelevato dall’ex dipendente della Hsbc, Hervé Falciani. Gli italiani sono 7.499 e avevano depositato complessivamente 7 miliardi e 452 milioni di dollari. Possedere un conto all’estero, va ricordato, non significa essere automaticamente degli evasori fiscali e, interpellati dai giornalisti del settimanale, i titolari dei conti hanno dato la loro spiegazione. Si vedrà. Tra i nomi della Lista Falciani figura il presidente di Telecom Italia, Giuseppe Recchi, ex presidente di Eni, consigliere di Exor e di UnipolSai, e componente del Consiglio direttivo di Confindustria. Fino al 1999, il manager era azionista della Recchi Costruzioni, un gruppo attivo in 25 Paesi nel settore delle costruzioni di grandi infrastrutture pubbliche. Ci sono poi il vicepresidente dell’Università Bocconi, Luigi Guatri, e Giancarlo Giammetti, stretto collaboratore dello stilista Valentino Garavani (tra i “vip” italiani presenti nell’elenco, assieme a Valentino Rossi e a Flavio Briatore), c’è l’amministratore delegato del gruppo Benetton, Eugenio Marco Airoldi, ex consulente di Boston Consulting, e l’imprenditore Giulio Malgara, per 23 anni presidente dell’Upa, l’Associazione che raggruppa le 500 maggiori società industriali e commerciali che investono in pubblicità, e fondatore di Auditel (di cui è presidente). Spunta, tra gli altri, anche il nome del sondaggista Renato Mannheimer che proprio alcuni giorni fa ha versato all’Agenzia delle entrate più di 6,3 milioni di euro per chiudere una vicenda giudiziaria in cui era accusato di una frode fiscale da 10 milioni di euro. Il risarcimento al fisco gli ha permesso di ottenere il via libera della procura di Milano al patteggiamento di una pena di un anno e 11 mesi. Stupisce poco la presenza di Davide Serra, il finanziere reziano da 18 anni residente a Londra, che ha confermato di essere titolare di un conto «in totale trasparenza e in accordo con il sistema inglese», e che probabilmente avrà depositi sparsi in decine di altre banche. Tra i primi nomi diffusi dall’Espresso figurano anche due politici. Dieci milioni e 700mila dollari era la disponibilità dell’ex parlamentare Giorgio Stracquadanio, scomparso nel gennaio 2014. Ex radicale poi approdato a Forza Italia, Stracquadanio apparteneva a una famiglia facoltosa. Il conto acceso presso la Hsbc era intestato anche alla sorella Tiziana e al padre Raffaele. Riaffiora invece dall’epoca di tangentopoli il nome dell’architetto Bruno De Mico, morto nel 2010, il primo “pentito” dell’era pre-Mani pulite. Il suo nome è legato allo scandalo della “carceri d’oro”, che gli valse una condanna tre anni (prescritta in appello) ma che gli fece ottenere anche un risarcimento di un miliardo di lire. Accusatore di ministri e del sistema delle spartizioni delle mazzette tra i partiti della prima Repubblica, tornò alla ribalta nel 1999 con un progetto su un’area di sua proprietà a Milano, dove oggi sorge il nuovo quartiere costruito dalla Hines. Sui suoi conti i giornalisti dell’Espresso hanno trovato la cifra monstre di 540 milioni di euro.

 

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