Mea culpa e isterismi di economisti sulla crisi.

Caro Operai Contro, “portare la protesta nelle università”. In un clima d’altri tempi, questo è l’invito di Thomas Piketty, un economista all’Assa-Aea, il meeting annuale che raccoglie 12mila tra economisti e scienziati sociali americani. Piketty ha sollevato accuse e critiche, alle contraddizioni insite nel capitalismo, invitando a portare la protesta nelle università. Dalla vivacità delle argomentazioni emerge che, questo sistema sociale non ha altri sbocchi e soluzioni se non sfruttamento, miseria, carestia e guerra. Allego l’articolo del “Sole 24 ore”. Saluti da un vostro lettore   ” Il mea culpa degli economisti: previsioni sbagliate sotto accusa. All’improvviso, travolto emotivamente […]
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Caro Operai Contro,

“portare la protesta nelle università”. In un clima d’altri tempi, questo è l’invito di Thomas Piketty, un economista all’Assa-Aea, il meeting annuale che raccoglie 12mila tra economisti e scienziati sociali americani. Piketty ha sollevato accuse e critiche, alle contraddizioni insite nel capitalismo, invitando a portare la protesta nelle università. Dalla vivacità delle argomentazioni emerge che, questo sistema sociale non ha altri sbocchi e soluzioni se non sfruttamento, miseria, carestia e guerra.

Allego l’articolo del “Sole 24 ore”. Saluti da un vostro lettore

 

” Il mea culpa degli economisti: previsioni sbagliate sotto accusa.

All’improvviso, travolto emotivamente dall’onda sollevata dalla conferenza di Thomas Piketty, un economista in maniche di camicia scatta in piedi in mezzo al pubblico, alza la voce oltre misura chiamando la sala strapiena a ribellarsi alle contraddizioni intrinseche al capitalismo e a portare la protesta nelle università.

Nella Independence Ballroom dell’Hotel Sheraton di Boston alcune centinaia di economisti si sono schiacciati l’uno sull’altro per ascoltare l’economista francese presentato dai media locali come il cervello più hot del pianeta, si siedono sulla moquette, si addossano ai muri, straripano nell’anticamera. Erano decenni che un dibattito economico non suscitava passioni da assemblea studentesca.
Talvolta, il pubblico vibra letteralmente assistendo al confronto tra Piketty che denuncia la disuguaglianza intrinseca al capitalismo e le obiezioni del suo antagonista Gregory Mankiw, harvardiano conservatore, ex consigliere di Bush. Il confronto diventa l’epicentro emotivo dell’Assa-Aea, il meeting annuale che raccoglie 12mila tra economisti e scienziati sociali americani.
Boston è una città di ribellioni e nella grande sala si coglie lo spirito che nei decenni passati avrebbe suscitato proteste nelle accademie, forse sollevazioni studentesche. Ma mentre il primo tribuno sta ancora invocando la ribellione un altro economista ancora più giovane attacca un micro aggeggio al suo smartphone e proietta sul muro della sala una feroce critica di Joe Stiglitz alle tesi di Mankiw via internet in tempo reale. Il pubblico è esilarato, una decina di telefonini scattano fotografie e le rilanciano sulla rete, mentre il primo agitatore sta ancora urlando, sollevando le braccia, ma ormai inascoltato. È l’era di twitter e i cinguettii non fanno rivoluzioni.

Che cosa stia diventando la scienza economica tra crisi teorica e social networks è l’interrogativo nascosto del convegno. Ormai aggrappati al ciclo media-politica, gli economisti non sono mai stati tanto influenti, tanto disorientati, e infine avvinti a un mondo parallelo che tanto bene funziona con ciò che è virtuale e tanto male con ciò che è reale. Nei think tank di Washington quando si discutono i modelli, tutta la parte di metodo che un tempo era centrale viene tagliata: “spiega il concetto, se ne hai uno” si intima a brutto muso agli ospiti. Ma di concetti nuovi ce ne sono molto pochi. Larry Summers era appena riuscito a dominare il ciclo mediatico rispolverando il concetto di stagnazione secolare quando l’economia americana lo ha preso alle spalle crescendo del 5%. Ora c’è già chi parla di produttività crescente e di innovazioni tecnologiche a scoppio ritardato che renderanno roseo il futuro.

Nel dibattito cresce la schiuma delle opinioni e si assottiglia la sostanza dei fatti. La crisi ha annichilito le speranze che modelli sempre più fini e sofisticati possano catturare la realtà. La conferenza annuale degli economisti americani è una nuova tappa verso il pentimento. Di fronte a una moltitudine di colleghi Olivier Blanchard, il capo economista del Fondo monetario, parla di “angoli bui” nella teoria economica. «La crisi ci ha insegnato che possono prenderci di sorpresa forti non-linearità» non sappiamo quali modelli utilizzare per cogliere i rischi finanziari sistemici. In assenza di fluttuazioni regolari l’intero apparato tecnico a sostegno delle aspettative razionali si rivela inservibile. È un problema concreto: se i banchieri centrali usano modelli standard come Smets-Wouters perdono di vista gli eventi eccezionali, ma se tengono conto degli eventi eccezionali sbagliano ogni giorno.

Qualunque fossero le origini della “grande moderazione” che ha preceduto la crisi, le visioni lineari delle fluttuazioni sembravano funzionare per un quarto di secolo, ma Frank Hahn uno dei pochi scettici definiva quei modelli degni di Topolinia. Oggi gli angoli bui della teoria – deflazione, crisi bancarie, incertezza politica, contagi – si allargano su tutto il quadro. Negli ultimi anni gli economisti avevano guardato dietro di sé, cercando micro-fondazioni della teoria sempre più micro, finendo per cadere in nuove fantasiose semplificazioni sui comportamenti degli individui. Dopo la crisi i modelli dinamici sono stati espansi per tener conto dei sistemi finanziari, ma senza esiti. All’ingresso del convegno di Boston un gruppo di giovani consegna volantini: «Professore, come hai potuto sbagliare in questo modo? È l’ora di ripensare la scienza economica, seguici su internet…».
La risposta degli economisti applicati è che politica e regolazione dei mercati devono tenersi a distanza dagli angoli bui, essere più cauti e meno arditi. Il contrario di quello che chiede il rumoroso dibattito dei social media ormai influente sulle sorti delle idee. Per gli economisti è l’ingresso in un terreno oscuro. Poi, in questo buio, arriva un giovane economista francese che usa un modello che più semplificato non potrebbe essere e invita a osare una tassa mondiale sulla ricchezza. Improvvisamente gli economisti, dopo aver spazzato via dalle scienze sociali gli storici e i sociologi sono costretti a discutere di categorie di filosofia politica. Esiste un livello ottimale di disuguaglianza per la società? Siamo rawlsiani, accettiamo la disuguaglianza solo se non è nociva ai più svantaggiati, o siamo nozickiani, randiani, veneranti la libertà dei soli individui titanici?

Alla gigantesca rassegna, tra lo Sheraton e il Marriott Copley, sono decine gli eventi dedicati alla disuguaglianza. Perfino la Commissione Ue in un suo studio attribuisce il rischio di stagnazione secolare in Europa anche alla crescente disuguaglianza nella distribuzione dei redditi. Vecchi e giovani hanno trovato nella più antica delle questioni economiche una nuova ragione. L’etica ha rianimato l’economia, i principi morali che ispiravano i padri della scienza, sono tornati, ma il ciclo media-politica è pronto a macinarli come profezie con data di scadenza molto ravvicinata. La verità è che nessuno sa che cosa succederà dello scambio delle idee. Presentando Piketty, il moderatore osserva che il suo libro è un’avvincente narrazione storica, un meritato rimprovero agli economisti per la loro ristrettezza intellettuale, l’annuncio di un futuro distopico e infine una chiamata politica alle armi. Una definizione adatta, ma troppo lunga per i 140 caratteri di twitter.”

 

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