Guerra di Spagna, donne e antifascismo: tutte insieme … appassionatamente?

PER IL DIBATTITO Augusto Cantaluppi e Marco Puppini [a cura di], “Non avendo mai preso un fucile tra le mani” Antifasciste italiane alla guerra civile spagnola 1936-1939, Prefazione di Laura Branciforte, Www.Aicvas.org, Milano, 2014. Pp. 160, Sip.   I curatori hanno raccolto 67 profili biografici di donne italiane che parteciparono alla guerra civile spagnola. L’iniziativa è encomiabile, non altrettanto encomiabile è il criterio di scelta adottato, ovvero la loro adesione al cosiddetto «fronte antifascista». Una definizione assolutamente fuorviante che nasconde la natura sociale dello scontro allora in atto in Spagna. In quel conflitto, contro il proletariato spagnolo si scagliò […]
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PER IL DIBATTITO

Augusto Cantaluppi e Marco Puppini [a cura di], “Non avendo mai preso un fucile tra le mani” Antifasciste italiane alla guerra civile spagnola 1936-1939,

Prefazione di Laura Branciforte, Www.Aicvas.org, Milano, 2014. Pp. 160, Sip.

 

I curatori hanno raccolto 67 profili biografici di donne italiane che parteciparono alla guerra civile spagnola. L’iniziativa è encomiabile, non altrettanto encomiabile è il criterio di scelta adottato, ovvero la loro adesione al cosiddetto «fronte antifascista». Una definizione assolutamente fuorviante che nasconde la natura sociale dello scontro allora in atto in Spagna.

In quel conflitto, contro il proletariato spagnolo si scagliò dapprima la borghesia fascista e poi la borghesia democratica. Quest’ultima, dopo aver fatto buon viso a cattiva sorte di fronte ai proletari in armi, appena le fu possibile preferì favorire il fascismo piuttosto che cedere terreno al proletariato. Un fondamentale aiuto glielo fornì lo stalinismo che, sul fronte spagnolo, giocava le proprie carte diplomatiche.

Il «fronte antifascista» fu in realtà un campo di battaglia tra borghesia e proletariato[1]. Di conseguenza, nella guerra civile spagnola NON ci furono donne antifasciste. Da un lato della barricata, ci furono donne anarchiche (molte) e marxiste (pochissime, e non dico comuniste, poiché il termine era stato deturpato dallo stalinismo), erano donne in lotta contro il fascismo per la rivoluzione proletaria; dall’altro lato, ci furono donne demo-staliniste, in lotta anch’esse contro il fascismo, ma per la difesa della repubblica borghese. Privilegiando questo obiettivo, il fronte democratico ricorse alle più tremende violenze contro ogni dissenso proletario. Motivo per cui, mettere tutte le donne nel medesimo calderone antifascista, significa mettere insieme persecutrici e vittime.

Ricordiamoci infine che ci furono donne che, trovandosi in quei frangenti «non volontariamente», combatterono il fascismo, con un orientamento politico che dipendeva essenzialmente dalle loro radici sociali.

L’invenzione dell’antifascismo

Il libro riflette pienamente quella concezione metafisica dell’antifascismo che sorse proprio con la guerra di Spagna, in cui l’originario antifascismo sovversivo e proletario fu affogato nella palude democratico-borghese, e questo grazie al Kominterm[2]. A distanza di ottant’anni, stupisce che tale concezione venga ancora proposta, acriticamente, quando le nefandezze staliniste sono di dominio pubblico, e non solo grazie a Omaggio alla Catalogna di Orwell e a Terra e Liberà di Ken Loach…

I curatori non si rendono conto di cadere nel ridicolo quando riducono misfatti, come la provocazione stalinista del maggio 1937 a Barcellona (l’assalto alla Telefonica), all’espressione anodina: «i fatti di Barcellona»… e così via, mistificando la realtà.

Con una disarmante ingenuità (in cui non si capisce dove finisce l’imbecillità e inizia la malafede), l’Introduzione di Laura Branciforte reitera tutti i possibili luoghi comuni della vulgata demo-stalinista. Nessun dubbio sfiora l’autrice, a partire dalle stesse fonti storiografiche citate dai curatori che, con poche eccezioni, sono opere di chiara marca staliniana (ci troviamo anche quel impunito di Vittorio Vidali!). Mentre, brillano per la loro assenza opere fondamentali, tra cui: G. Munis, Lezioni di una sconfitta. Premesse di una vittoria. Critica e teoria della rivoluzione spagnola 1930-1939 [Edizioni Lotta Comunista, Milano, 2007].

Dove mi è stato possibile verificare, come a proposito di Virginia Gervasini (Sonia), la mancanza di riferimenti ad affidabili fonti documentarie ha causato marchiani errori[3]. Ma questo è quanto ci passa l’accademia!

Oggi come oggi, cassando la logora ideologia antifascista e seguendo più consoni criteri di analisi sociale, sarebbe stata più onesta una ricerca dedicata alle donne italiane coinvolte nella guerra di Spagna, comprese le donne «fasciste». Forse, si potrebbero fare interessanti scoperte. Così come, esaminando più da vicino i centomila «volontari» di Mussolini, si vede che, accanto all’élite fascista piccolo borghese, c’era una massa di proletari e soprattutto di braccianti che, partiti con la promessa di andare a coltivare la terra in Abissinia, finirono invece a marcire nel fango di Guadalajara. Come ci furono molti proletari comunisti che andarono a combattere in Spagna per la rivoluzione sociale e divennero invece carne da cannone per l’Urss di Stalin.

Lacune quanto mai eloquenti

Le lacune di Cantalupppi e Puppini sono quanto mai eloquenti, poiché sono il frutto marcio di una storiografia scritta dai vincitori, in cui gli stalinisti hanno fatto di necessità virtù, per giustificare, se non per esaltare (ci mancherebbe!), una sconfitta che, nel dopoguerra, si sarebbe trasformata in vittoria, quando venne impunemente spacciato il modello politico demo-stalinista (la democrazia popolare).

Ci sono molte zone d’ombra assai compiacenti. Sulla discussa figura di Tina Modotti la bibliografia indica molti libri apologetici, tranne uno, forse, il più onesto: Pino Cacucci, Tina, la vita avventurosa di una donna straordinaria: Tina Modotti [TEA, Longanesi, Milano, 1994]. Non solo. Sulla compagna di Guido Picelli, Paolina Rocchetti, manca il libro di Gianni Furlotti, in cui lei denuncia la morte di Picelli per fuoco «amico» stalinista[4].

Ovviamente, con questi presupposti ideologici, le fonti demo-staliniste fanno la parte del leone. Mentre le fonti riguardanti le donne anarchiche e marxiste (vinte, umiliate e offese) sono «latitanti» nel vero senso della parola, perché latitanti furono le dirette interessate che, per buona parte della loro vita, dovettero sfuggire non solo la reazione fascista ma anche la reazione democratica. Esemplari fra molte furono le vicende di Giuditta Zanella ed Emilia Napione che, nel corso della loro esistenza, assunsero almeno una decina di identità. Nel 1937, a Valencia, Emilia Napione sfuggì per il rotto della cuffia alle checas staliniste. Per sparire nel nulla, nel settembre 1943, quando aveva poco più di quarant’anni. Di alcune, come Angelica Astolfi ed Eugenia Simonetti, gli sbirri non rintracciarono neppure una fotografia!

Qualche riga in più avrebbero meritato Fosca Corsinovi e  Tosca Tantini, compagne assai vicine a Camillo Berneri e a Francesco Barbieri, massacrati dagli stalinisti[5]. Infine, con un po’ di pruderie, è restato nella penna che Tante Marie (Maria Zazzi) fu tutrice di Horst Fantazzini, il «rapinatore gentile». Ma pur sempre rapinatore…

E sulle donne,

giudizi avventati e offensivi

Laura Branciforte, attenendosi rigorosamente alla vulgata demo-stalinista, cade in avventati giudizi, a volte anche offensivi, in genere e di genere, per le donne, come quando, a proposito dello spirito femminista delle italiane presenti in Spagna, afferma:

«Le rivendicazioni femministe sono contrarie o assenti nei loro discorsi, in sintonia con il tradizionalismo ed incluso il conservatorismo dei partiti socialisti e comunisti che frenarono la messa in questione delle più tradizionali divisioni sessuali dei ruoli e la presa di coscienza di una specifica questione di genere» [p. 25].

Non la sfiora il dubbio che i partiti comunisti stalinizzati, in Russia e nel mondo, avessero subito una forte regressione familista, dai tempi del libero amore di Aleksandra Kollontaj e della Sexpol di Wilhem Reich[6]. Nonostante insegni all’Università di Madrid (ma forse proprio per questo!), la profesora ignora bellamente l’esperienza delle Mujeres Libres[7], rievocata anche nel film Libertarias.

Ammesso e non concesso che una parte delle donne demo-staliniste fosse in «buona fede», resta comunque il fatto che ebbero spesso incarichi, di alto o basso rango, nel partito, nel Soccorso Rosso (longa manus di Mosca) e nelle istituzioni repubblicane, alcune furono speaker alla radio governativa. Quasi sempre, pur nelle tragiche temperie della guerra, trovarono «percorsi agevolati».

Le donne anarchiche e marxiste, generalmente, furono proletarie tra le proletarie, al fronte e nelle retrovie. E soprattutto furono donne assolutamente indipendenti; le loro scelte politiche difficilmente furono influenzate da implicazioni sentimentali. Emilia Buonacosa fu una roccia anarchica, per nulla scalfita dalla sua relazione con un’altra roccia, il comunista «bordighista» Piero Corradi; mentre Armida Prati, nipote di Malatesta, si avvicinò ai «bordighisti» … per poi svanire nell’anoni-mato della storia, come molti veri eroi proletari.

In poche parole, furono donne «emancipate e disinibite», come recitano con un tocco maschilista i rapporti di polizia.

Dino Erba, Milano, 25 giugno 2014.

 

 

 

[1] Vedi: Agustín Guillamón, I Comitati di Difesa della Cnt a Barcellona (1933-1938). Dai Quadri di difesa ai Comitati rivoluzionari di quartiere le Pattuglie di Controllo e le Milizie Popolari, Introduzione: Dino Erba, Spagna 36. Una rivoluzione impossibile? O l’impossibilità della rivoluzione? Appendice: Gilles Dauvé, Quando muoiono le insurrezioni, All’Insegna del Gatto Rosso, Milano, 2013.

[2] Vedi Dino Erba, L’invenzione dell’antifascismo, recensione a: Martino Cervo, Willi Münzenberg il megafono di Stalin. Vita del capo della propaganda comunista in Occidente. Prefazione di Ugo Finetti, Cantagalli, Siena, 2013.

[3] Vedi: Virginia Gervasini, Gli insegnamenti della sconfitta della rivoluzione spagnola (1937-1939), Introduzione a cura di Paolo Casciola, Quaderni del Centro Studi Pietro Tresso, Studi e ricerche, n. 30, dicembre 1993.

[4] Gianni Furlotti, Parma libertaria, Introduzione di Maurizio Antonioli, Biblioteca Franco Serantini, Pisa, 2001, pp. 202-205.

[5] Vedi: Antonio Orlando – Angelo Pagliaro, Chico il professore. Vita e morte di Francesco Barbieri, l’anarchico dei due mondi, Prefazione di Francisco Madrid Santos, Zero In Condotta – La Fiaccola, Milano – Ragusa, 2013.

[6] Ved: Arturo Peregalli, Stalinismo, Graphos, Genova, 1993, pp. 196-199. Vedi anche: Giancarlo Bocchi, Il ribelle. Guido Picelli una vita da rivoluzionario, Internationale Media Production, Roma, 2013.

[7] Martha Acklesberg A., Mujeres Libres. L’attualità delle donne anarchiche nella rivoluzione spagnola, Zero in Condotta, Milano, 2005. Ricordo anche: Ana Delso, Trecento uomini e io. Spagna 1936 autobiografia di una rivoluzionaria, Zero in Condotta, Milano, 2006; Mika Etchebéhère, La mia guerra di Spagna. Una donna al comando di una colonna trotzkista in prima linea dal 1936 al 1938, Bompiani, Milano, 1977, esperienza ripresa nel romanzo: Elsa Osorio, La miliziana, Guanda, Parma, 2012. Alcune testimonianze sulle donne marxiste del Poum in: Isabella Lorusso, Spagna ’36. Voci dal POUM, Prefazione di Claudio Venza, Ibiskos Editrice Risolo, Empoli (Firenze), 2010.

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