LA FABBRICA DELLA MORTE

Quindici operai morti, almeno 150 malati e un intero quartiere a rischio avvelenamento. È il tragico bilancio portato alla luce dall’inchiesta sull’Isochimica, l’azienda di Avellino dove negli anni ’80 i lavoratori erano assunti per rimuovere a mani nude la fibra killer dai treni. Perché oltre allo scandalo Eternit in Italia ci sono ancora centinaia di siti da bonificare e migliaia di persone che rischiano di essere contaminate di ANTONIO CIANCIULLO e PIERLUIGI MELILLO con un video di CARMEN GALZERANO   La fabbrica della morte è chiusa da quasi trent’anni, ma continua ad uccidere. Il killer fantasma è nell’aria, ogni […]
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Quindici operai morti, almeno 150 malati e un intero quartiere a rischio avvelenamento. È il tragico bilancio portato alla luce dall’inchiesta sull’Isochimica, l’azienda di Avellino dove negli anni ’80 i lavoratori erano assunti per rimuovere a mani nude la fibra killer dai treni. Perché oltre allo scandalo Eternit in Italia ci sono ancora centinaia di siti da bonificare e migliaia di persone che rischiano di essere contaminate

di ANTONIO CIANCIULLO e PIERLUIGI MELILLO con un video di CARMEN GALZERANO

 

La fabbrica della morte è chiusa da quasi trent’anni, ma continua ad uccidere. Il killer fantasma è nell’aria, ogni giorno gli abitanti di borgo Ferrovia, quartiere popolare di Avellino, respirano i veleni che arrivano da quel mostro chiamato “Isochimica”, l’opificio dove negli anni ’80 venivano scoibentate le carrozze ferroviarie, quasi tremila in sei anni. Si lavorava a mani nude, senza mascherine, inconsapevoli dei pericoli. Almeno 20mila tonnellate di amianto sarebbero state sotterrate nel piazzale della fabbrica, altre scorie sono state chiuse in cubi di cemento oppure sistemate in sacchi neri e sversate nelle acque del fiume Sabato o addirittura nel mare della costiera amalfitana. L’hanno rivelato gli ex operai ai magistrati. “Ma mentre tutto ciò accadeva dov’erano i cittadini?”, si chiede il procuratore della Repubblica di Avellino, Rosario Cantelmo, che paragona l’Isochimica all’Eternit di Casale Monferrato, all’Ilva di Taranto a alla Thyssen Krupp

“Dovremo andare via da qui”, dice Gabriella Testa, alla guida del comitato di mamme di borgo Ferrovia che si battono per la bonifica del sito. L’Arpac, l’agenzia regionale per l’ambiente della Campania, ha accertato che ci sono 27 fibre di amianto per litro d’aria nella zona, stando alle raccomandazioni dell’Oms non ce ne dovrebbe essere nemmeno una. Il biologo Carlo Caramelli, garante del Tribunale per i diritti del malato, ha chiesto al prefetto di far evacuare il rione. “Perché Renzi non viene a visitare la scuola elementare che è a cento metri dalla fabbrica?”, ha chiesto polemicamente Carlo Sibilia, l’avellinese arrivato in Parlamento con il Movimento 5 Stelle. C’è già stato lo screening sui bambini della scuola, il pediatra dell’Asl di Avellino, Felice Nunziata, che ha guidato l’equipe per le analisi, ha ammesso: “Qui non farei vivere mio figlio, la bonifica è urgente”.

Ma è ancora tutto fermo: il Comune non ha i soldi, la Regione prende tempo. Eppure il procuratore Cantelmo, dopo aver messo sotto inchiesta il titolare dell’Isochimica, Elio Graziano, imprenditore protagonista negli anni ’80 dello scandalo “lenzuola d’oro”, l’ex giunta comunale e perfino il curatore fallimentare, ha cercato di imprimere un’accelerazione nominando custodi giudiziari dell’impianto il sindaco, Paolo Foti, e il governatore regionale, Stefano Caldoro.

Dopo anni di omissioni e indifferenza almeno qualcosa si muove. Ma la svolta non c’è stata. Resta il conto dei morti, una lunga scia di lutti e dolore: l’amianto ha già ucciso 15 ex operai ed un lavoratore che con l’Isochimica non c’entrava nulla. Si chiamava Vittorio Esposito, lucidava i pavimenti della stazione ferroviaria dove si scoibentavano le carrozze ferroviarie direttamente sui binari evitando di portarle in fabbrica. Anche sua moglie, la vedova Rosetta Capobianco che lavava le tute del marito impregnate di amianto, si è ammalata ai polmoni, ma continua a battersi per il risanamento del quartiere. E ora da qualche mese la Procura indaga su altri 23 decessi, nuovi casi sospetti tra ex operai, familiari e cittadini di cui sono state sequestrate cartelle cliniche e certificati di morte.

Si fanno i conti. All’Isochimica lavoravano 333 operai, almeno 150 sono già risultati ammalati. “Ormai ci sentiamo dei morti che camminano”, confessa Carlo Sessa, uno degli ex operai che ha visto morire i compagni di lavoro: da tempo chiede inutilmente aiuto a tutti i partiti per la battaglia del prepensionamento degli ex dipendenti della fabbrica dei veleni. Ma la politica è rimasta ancora indifferente. E il futuro fa paura. Mario Polverino, direttore del polo pneumologico dell’ospedale “Scarlato” di Scafati, ha scoperto che gli 80 operai dell’Isochimica provenienti dal Salernitano sono stati tutti contaminati dalle fibre killer. “Il picco delle malattie derivanti dall’amianto si avrà intorno al 2020, quindi tutti gli ex operai e i cittadini sono a rischio”, conferma Polverino che ha paragonato l’Isochimica alla miniera di crocidolite, l’amianto blu, di Wittenoom Gorge nel Western Australia dove a distanza di 45 anni dall’esposizione, le persone che abitavano nei dintorni della cava continuavano ad ammalarsi e a morire fino a far diventare il villaggio una città fantasma. Ma Borgo Ferrovia ora vuole vivere. Anche se la lotta contro i veleni non è ancora finita.

La Spoon River dell’Irpinia

C’è un’altra morte sospetta legata alla fabbrica dei veleni su cui indaga la Procura di Avellino. Lui si chiamava Vito Cotrufo: fu ucciso nel 1987 da un tumore ai polmoni, l’Isochimica era ancora in piena attività. Sarebbe stata chiusa solo due anni dopo dal pretore di Firenze, Beniamino Deidda che indagava sui morti delle grandi officine toscane dove le carrozze ferroviarie tornavano dalla fabbrica irpina, ripulite male dall’amianto.

Nelle carte della Procura di Avellino ci sono poi i nomi dei decessi più recenti: Umberto De Fabrizio, Vittorio Matarazzo, Luigi Maiello, Alberto Olivieri e altri dodici ex lavoratori Isochimica, stroncati da malattie all’apparato respiratorio causate dall’amianto.

Parallela a queste si è consumata poi la tragedia di Pasquale Soricelli, che nel 2011 dopo aver scoperto di essere affetto da una grave malattia per le fibre killer si tolse la vita. Una targa da qualche anno ricorda il sacrificio di questi lavoratori davanti alla fabbrica.

Graziano: una storia di tangenti, calcio e veleni

Chissà se oggi il titolare dell’Isochimica, l’ormai 82enne Elio Graziano, che sconta da condannato ai domiciliari le sue pene nell’abitazione di contrada Scrofeta alla periferia di Avellino, pensa mai al disastro che ha lasciato alle sue spalle. “Ho sempre solo fatto del bene”, ripete ancora oggi al suo avvocato, il penalista Alberico Villani. Tornerà un uomo libero solo il 19 ottobre del 2017, quando finirà il conto delle sentenze che l’hanno colpito per corruzione e omicidio colposo. Ma con lui la giustizia non ha ancora chiuso i conti.

Lo chiamavano “Papà Elio” perché lui, da presidente dell’Avellino ai tempi della serie A, elargiva con grande generosità, come un buon padre di famiglia, banconote da centomila lire a tifosi e operai che lo acclamavano. Era un imprenditore rampante Graziano, che dopo l’Isochimica aprì un altro stabilimento industriale a Fisciano (Salerno) per la produzione del detersivo “Dyal”, marchio che sponsorizzava le magliette dell’Avellino. Anche nel piazzale di quella fabbrica sarebbe stato smaltito l’amianto.

Il patron arrivava allo stadio “Partenio” in elicottero prima delle partite e prometteva premi favolosi ai calciatori. Da presidente portò l’Avellino guidato in panchina da Luis Vinicio a sfiorare la qualificazione all’allora Coppa Uefa, lanciando campioni che avrebbero fatto le fortune della Juventus come Tacconi, Favero e Vignola. L’anno dopo, nel campionato ’87-’88, ci fu però la retrocessione in B e l’esplosione dello scandalo delle “lenzuola d’oro”, storia di mazzette pagate da Graziano ai vertici delle Ferrovie per le forniture di biancheria sui treni notturni. Vicenda che costò la poltrona all’allora presidente delle Fs Ludovico Ligato.

Per l’industriale iniziò così la parabola discendente che non è ancora finita. Perché c’è anche lui tra i 24 iscritti nel registro degli indagati nell’inchiesta della Procura sulla morte di quanti sono stati uccisi dall’amianto dell’Isochimica.

Polvere killer ovunque
ma lo smaltimento è fermo

di ANTONIO CIANCIULLO
Molto amianto e poche discariche attrezzate. Una previsione di 2mila morti all’anno e 22 anni di ritardo sulle misure di sicurezza. Mentre dal punto di vista giudiziario il quadro delle responsabilità è emerso con chiarezza nel primo grado di giudizio che ha visto i proprietari della Eternit condannati a 16 anni di reclusione per disastro doloso permanente, il panorama dell’esposizione alla fibra killer resta sconfortante. Ci sono più di 34mila siti da bonificare e oltre 32 milioni di tonnellate di amianto sparse in giro.

LA MAPPA DELL’AMIANTO IN ITALIA

Non è solo un problema che si declina al passato. Il rischio continua. Anzi si allarga visto che c’è una crescita dei casi di esposizione non professionale: tra le vittime aumentano le persone entrate casualmente in contatto con l’amianto (più di 50mila edifici contengono asbesto).

Mettendo assieme i luoghi più esposti al pericolo si arriverebbe a 75mila ettari, l’equivalente della provincia di Lodi. Questa superficie – formata dalle zone inserite nel programma nazionale di bonifica del ministero dell’Ambiente – comprende Casale Monferrato e i 47 Comuni vicini costruiti usando amianto; Bagnoli e la contrada Targia a Siracusa, con le fabbriche di cemento amianto; Comuni come Broni (Pavia) con i siti produttivi dismessi che lavoravano la fibra killer; le miniere di Balangero (Torino), ed Emarese (Aosta) da dove veniva estratto il minerale; gli edifici che hanno utilizzato asbesto.

Ma i dati sono parziali e sotto stimati perché la legge del 1992, che in Italia ha vietato l’estrazione, l’importazione e l’utilizzazione dell’amianto e dei prodotti che lo contengono, obbligava le Regioni ad adottare entro 180 giorni dalla sua entrata in vigore un programma dettagliato per il censimento, la bonifica e lo smaltimento dei materiali contaminati dalla fibra killer. La disposizione però è rimasta quasi ovunque lettera morta. In molte aree del paese i dati mancano.

“Ancora oggi le Regioni si trovano in forte ritardo negli interventi per ridurre il rischio sanitario da amianto “, si legge nel rapporto firmato da Legambiente. “Un ritardo che in alcuni casi riguarda addirittura l’approvazione del Piano. Ad oggi solo due Regioni hanno previsto una data in cui arriveranno a completare la bonifica e la rimozione dei materiali contenti amianto: la Lombardia (entro il 2016) e la Sardegna (entro il 2023)”.

Ecco l’elenco delle aree critiche contenuto nel dossier: 23.816 edifici pubblici (di cui oltre 12 mila in Piemonte) e 24.299 edifici privati (il 99% in Lombardia); 100 milioni di metri quadrati in strutture di cemento amianto (l’81% in Lombardia); 650 mila metri cubi di amianto censiti in Basilicata, Abruzzo e Liguria; in tre regioni (Toscana, Emilia Romagna e Piemonte) la contaminazione da amianto riguarda anche le aree di cava.

“Tra il verdetto scientifico di estrema pericolosità e la reazione è passato un tempo troppo lungo”, commenta Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente. “Perciò oggi milioni di italiani, probabilmente un terzo della popolazione, si trovano esposti a un rischio che poteva essere evitato con un intervento tempestivo. Ora bisogna andare veloci: creare un Fondo nazionale per le bonifiche dei siti ‘senza più padrone’, sul modello del Superfund statunitense; completare le analisi epidemiologiche nelle aree a maggior rischio; organizzare discariche sicure per i materiali ricavati dalle bonifiche, mentre oggi esportiamo il 75% dei rifiuti contenenti amianto e questo incide molto sui costi”.

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